Dott. Adriani, qual è in sintesi il suo approccio alle patologie del ginocchio e perchè?
Innanzi tutto, come spesso dico ai miei pazienti, cerchiamo di capire che cos’è la protesi visto che ancora sono in molti a credere a chissà quale amputazione o dispositivo artificiale. Una premessa. La nostra vita è scandita e caratterizzata dal movimento e sono le articolazioni che ci permettono di avere una vita sociale e fare sport. Quindi noi, come chirurghi, dobbiamo preoccuparci sempre in primo luogo di salvare le articolazioni.
In che modo?
Occorre trovare le terapie giuste per proteggere e suturare i menischi, riparare i crociati e salvaguardare la cartilagine. Per motivi genetici o traumatici spesso l’articolazione va incontro ad un’usura per cui dobbiamo cercare di ridare all’articolazione il movimento e la funzionalità. Dopo aver percorso gradualmente tutte fasi meno invasive si può ipotizzare un intervento di artroprotesi che permette di ridare all’articolazione quella congruenza persa con l’usura. Questo può essere fatto anche in maniera parziale. Non necessariamente serve una protesi per tutto il ginocchio.
Ad essere ancora più precisi?
Il ginocchio è composto da tre compartimenti: uno interno, uno esterno e uno anteriore. È chiaro che, se il problema sussiste solo in una di queste componenti, possiamo sostituire solo la parte malata. Questo è oggi possibile grazie alla disponibilità di protesi mono compartimentali. Questo tipo di approccio riduce notevolmente sia i tempi riabilitativi sia l’invasività generale dell’intervento. Anche da un punto di vista internistico, sono pazienti più facili da trattare e con minori rischi e complicanze.
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