Il crescente interesse verso gli accessi chirurgici mini invasivi, ha fatto emergere e portare alla notorietà nel panorama ortopedico e traumatologico italiano la tecnica dell’accesso per ‘via anteriore’ nelle protesi d’anca. Si tratta di una metodologia le cui origini arrivano da lontano. La prima descrizione può essere attribuita al chirurgo tedesco Carl Hueter nel suo Compendio di Chirurgia del 1881. Una tecnica sempre più praticata nei primi impianti, ma che risulta davvero meritevole di attenzione anche in altre situazioni.
Ne parliamo con il Dott. Marco Trono (nella foto), Consulente di Ortopedia a Villa Maria dal 2017.
Dott. Trono, partiamo dall’età. E’ vero che chi si sottopone ad un intervento di chirurgia protesica di anca è sempre più giovane?
Sì, confermo. Per la protesi di anca come primo impianto abbiamo anche pazienti di 20-30 anni. Allo stesso tempo è aumentata anche verso l’alto nel senso che oggi, di fatto, non c’è più un limite di età all’intervento. Abbiamo pazienti di 85 anni che tornano in piedi a camminare. Un’età in cui il rischio è quello di rimanere allettati con una previsione di bassa qualità di vita e alta mortalità. Con l’intervento, invece, riusciamo a dare la massima e migliore prospettiva anche al paziente anziano.
Qual è la domanda che riceve più frequentemente dai pazienti?
Sicuramente è relativa alla durata dell’impianto. Rispondo sempre con i dati e le statistiche ufficiali. Più del 93 per cento delle protesi arriva a 15 anni, a 20 anni più dell’80 per cento, a 25 anni quasi il 60 per cento. Quindi significa che più della metà delle protesi supera una durata di 25 anni.
Che cosa succede quando il primo impianto inizia a dare qualche problema?
A un certo punto la protesi può dare dolore e in quei casi si deve sostituire andando quindi eseguire quella che tecnicamente chiamiamo revisione di protesi. Un intervento molto più complesso rispetto al primo impianto.
Come interviene in questi casi?
In base alla mia esperienza, è proprio in questi casi che la via anteriore offre i migliori vantaggi proprio perché si tratta di interventi dove i rischi sono più alti. Un esempio? Con il primo impianto il rischio lussazione può essere del 3-4%, nella revisione può arrivare al 20%. La via anteriore annulla questo rischio così elevato.
Dove e quando ha imparato questa tecnica?
Pratico la chirurgia ortopedica dal 2003 con moltissima esperienza in ambito ospedaliero sia nella chirurgia di elezione (programmata) che nella traumatologia. La tecnica per via anteriore l’ho studiata e imparata nel 2009 e da allora l’ho applicata in oltre tremila interventi con una media attuale di circa trecento casi all’anno. Sono stato all’estero, a Barcellona e in Austria, poi in Italia lavorando con chi aveva già una notevole esperienza. Oggi considero la via anteriore il più moderno ed il più efficace degli interventi sia per il primo impianto sia per la revisione di protesi d’anca.
In che modo seleziona i pazienti?
All’inizio, quando ancora ero al principio della curva di apprendimento escludevo alcuni pazienti. Oggi la applico nel 100% dei casi.
Perché è così convinto della ‘via anteriore’?
Perchè riduce le tre grandi complicazioni in questa tipologia di intervento, che sono: la lussazioni dell’impianto (quando la testa del femore esce dal suo alloggiamento), la zoppia da deficit-danno muscolare e le lesioni neurologiche come ad esempio il nervo sciatico. A tutto questo si aggiunge il quarto grande vantaggio: il forte effetto ‘cosmetico’ grazie alle piccole incisioni e tutti quelli classici della chirurgia mini invasiva tra cui tempi di guarigione rapidi e riduzione del dolore post operatorio.
Cosa si sente di consigliare in generale?
Una cosa molto importante. Chi fa una protesi di anca oggi, specialmente se giovane, deve rivolgersi a chirurghi esperti che scelgano tecniche e materiali impiantabili moderni per rendere più semplice anche l’eventuale intervento di revisione e sostituzione futura della protesi.
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